Carie da biberon

Una forma di carie in dentatura decidua

Con la diffusione del biberon di plastica si è evidenziato un aumento della diffusione di tale patologia, conosciuta come “carie da biberon” (o nursing bottle syndrome in letteratura internazione) , conseguenza di abitudini alimentari errate che permettono la permanenza prolungata di liquidi cariogeni nel cavo orale.
I dentini colpiti maggiormente sono i quattro incisivi frontali superiori, seguiti dai molarini. Gli incisivi inferiori si danneggiano per ultimi.

Il decorso è progressivo: prima compaiono demineralizzazioni (tipo macchie biancastre) sulla superficie dei denti , che velocemente si espandono fino a formare cavità estese tra i dentini assumendo talvolta colorazioni che vanno dal giallo al marrone al nero.

Spesso i denti si fratturano o formano ascessi e in tal caso devono venire estratti, con conseguenze estetiche, fonatorie ed alimentari per il bambino. Ad oggi i sistemi tradizionali di prevenzione sono purtroppo inefficaci nella cura della carie da biberon.

Prevenzione della carie da biberon:

Evitare il contatto prolungato con sostanze cariogene, specialmente durante il sonno.
non lasciare il biberon contenente succo, latte ecc. per tutta la notte;
non allattare il bimbo per tutta la notte (anche il latte materno contiene sostanze zuccherine);
non lasciare in bocca il ciuccio cosparso di miele o zuccheri durante la notte.

La terapia causale (non chirurgica) della malattia parodontale

Note esplicative per i pazienti

Questa breve esposizione si propone di spiegare le caratteristiche della terapia causale, ovvero NON chirurgica, che il Suo Odontoiatra metterà in atto per la cura della malattia parodontale.
La terapia causale comprende:

Informazione, istruzione e motivazione del paziente ad una corretta igiene orale quotidiana domiciliare.

• Le istruzioni di igiene orale devono riguardare le metodiche appropriate di rimozione meccanica della placca batterica del cavo orale, utilizzo di spazzolino manuale o elettrico e strumenti per la pulizia delle superfici interdentali. Il controllo meccanico della placca sopragengivale può essere affiancato da un controllo chimico, tenendo però in considerazione il fatto che, a lungo termine, gli agenti chimici antiplacca mostrano una riduzione dei benefici e la comparsa di effetti indesiderati.
• Controllo dei fattori che influenzano la progressione della malattia, quali il fumo ed il diabete.
• Rimozione della placca batterica e del tartaro sopragengivale e sottogengivale con metodiche di detartrasi. La rimozione del tartaro può essere eseguita con uguale efficacia con strumenti sonici, ultrasonici e manuali.
• Eliminazione di fattori ritentivi di placca sopragengivali e sottogengivali, quali otturazioni e margini protesici debordanti, carie, tartaro, cemento radicolare contaminato, per favorire le manovre di igiene orale e per ristabilire un’anatomia dento-gengivale favorevole al controllo di placca.
• Lucidatura e rifinitura delle superfici dentali.

I risultati attesi della terapia causale includono:

• Miglioramento del livello di collaborazione e partecipazione del paziente.
• Riduzione significativa e stabile della quantità di placca batterica e tartaro depositati sulle superfici dentali (al di sotto del 30%).
• Eliminazione o riduzione dei segni clinici di infiammazione marginale (quali rossore, edema e sanguinamento).

Il ruolo dell’igiene orale nella prevenzione e nella terapia parodontale

La letteratura degli anni ‘60-‘70 ha ampiamente dimostrato l’importanza del controllo di placca nell’ambito della prevenzione delle malattie parodontali e soprattutto della terapia delle gengiviti. Studi condotti in modelli animali completamente privi di batteri hanno dimostrato una mancata insorgenza e sviluppo di gengivite e parodontite. In presenza di accumulo di placca, altri lavori sperimentali su umani hanno dimostrato in modo riproducibile l’insorgenza di gengivite. Questi studi hanno inoltre evidenziato che il controllo della placca batterica mediante corrette procedure di igiene orale domiciliare consente la completa risoluzione del processo infiammatorio.
Per quanto riguarda le parodontiti, alcuni studi hanno osservato una forte associazione tra igiene orale, età e distruzione di attacco tissutale evidenziando l’importanza del controllo di placca e dell’infiammazione gengivale nella prevenzione di tali patologie. Altri studi sono giunti alla conclusione che un meticoloso regime di controllo di placca batterica rappresenta un fattore critico per il successo a lungo termine della terapia parodontale chirurgica e non chirurgica. Westfelt e coll. hanno dimostrato che, a seguito di un appropriato controllo di placca, non si evidenziavano differenze significative tra le differenti metodiche chirurgiche eseguite, e cioè gengivectomia, lembo posizionato apicalmente senza chirurgia ossea resettiva, lembo posizionato apicalmente con chirurgia ossea resettiva, lembo di Widman modificato senza chirurgia ossea resettiva, lembo di Widman modificato con chirurgia ossea resettiva. Al contrario, Becker e coll. hanno dimostrato come, in assenza di un ottimale controllo di placca, la terapia parodontale da sola risulta scarsamente efficace nel ristabilire la salute parodontale.
Ciò suggerisce che è possibile ottenere risultati clinici simili attraverso procedure chirurgiche diverse, a patto però che venga osservato un regolare e corretto controllo di placca batterica.

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Quando l’igiene domiciliare risulta efficace?

E’ stato già evidenziato come un elevato standard di igiene orale sia determinante nella prevenzione e nella terapia delle malattie parodontali. Tuttavia è frequente riscontrare come sia poco noto che lo spazzolamento dei denti da solo non risulti sufficientemente efficace per la rimozione della placca sulla totalità delle superfici dentali e tanto meno su quelle interprossimali, dove solo l’azione di mezzi ausiliari (filo, scovolino, ecc.) è in grado di raggiungere tale scopo.
In uno studio condotto da Lang e coll. è stato dimostrato come, in assenza di manovre di igiene orale in soggetti parodontalmente sani, l’accumulo di placca procede inizialmente dalle zone interprossimali posteriori per poi passare alle zone interprossimali anteriori ed infine interessare le superfici vestibolari e palatali/linguali. Inoltre i segni di infiammazione gengivale iniziavano a manifestarsi dopo 48 ore di accumulo di placca. Un ulteriore studio di Saxton del 1973 riportava come i siti affetti da gengivite mostravano una più rapida formazione ed accumulo di placca batterica rispetto ai siti sani: questo era spiegato dal fatto che una maggiore presenza di essudato infiammatorio favoriva l’iniziale colonizzazione batterica ed il suo successivo accumulo. Al contrario, studi clinici sperimentali su umani hanno dimostrato che, con la rimozione di placca batterica in soggetti affetti da gengivite, si ottiene una risoluzione completa dell’infiammazione e la restituito ad integrum tissutale.

Lo spazzolamento dentale manuale

Numerosi sono stati gli studi che hanno indagato gli effetti dello spazzolamento manuale in relazione all’accumulo di placca, così come numerosi sono stati gli studi condotti sui vari tipi di spazzolini (Fig. 1) proposti dalle case produttrici, sebbene i risultati siano stati scarsi e a volte contrastanti. Diversi studi clinici hanno cercato di paragonare le differenti tecniche di spazzolamento, al fine di determinare se una tecnica risultava essere superiore ad un’altra, nonché hanno paragonato e valutato l’efficacia dei diversi tipi di spazzolini in riferimento alla riduzione dell’accumulo di placca e di gengivite, manifestando però ancora risultati non univoci e scarsamente supportati da evidenza scientifica.

Fig. 1

L’industria del settore ha proposto nel corso degli anni numerose tipologie e design di spazzolini, sebbene non vi sia sufficiente evidenza scientifica che provi la superiorità di un tipo di spazzolino rispetto ad un altro. Sono stati studiati spazzolini con diversa conformazione del manico (diritto, curvo a 45°, con doppia curva), della testa (concava, piatta) e delle setole (dure, morbide, multiciuffo, con diversa sezione e diametro, a due o tre file) mostrando risultati poco significativi e non comparabili. Tuttavia, a seguito della notevole eterogeneità dei singoli individui, risulta difficile identificare uno spazzolino di uso universale.
Per quel che riguarda i metodi di spazzolamento (Fig.2) in letteratura ne sono stati
descritti diversi a seconda della direzionedel movimento prodotta dalla testa dellospazzolino:

Fig.2

A seguito della evidente eterogeneità mostrata dagli studi presenti in letteratura e che hanno avuto come obiettivo quello di paragonare le diverse metodiche di spazzolamento, risulta molto difficile affermare la superiorità di una tecnica rispetto ad un’altra. Tuttavia, studi caso-controllo hanno osservato che la tecnica Rotatoria appare inferiore, o comunque non superiore, alle altre metodiche già descritte.
Un altro punto chiave nell’ambito del controllo di placca mediante tecnica manuale è la frequenza dello spazzolamento. Ad oggi non risulta essere ancora chiaro l’intervallo di tempo più adeguato per lo spazzolamento dentale al fine di prevenire patologie parodontali. Due studi prospettici sono stati condotti con lo scopo di determinare la frequenza minima di spazzolamento necessaria per evitare l’insorgenza di gengiviti. I risultati hanno evidenziato che la pulizia dentale domiciliare (spazzolamento + pulizia interprossimale) eseguita 1 volta al giorno o al massimo ogni 2 giorni era in grado di prevenire il manifestarsi di patologie infiammatorie gengivali. E’ tuttavia da sottolineare come la popolazione di tali due studi fosse costituita da studenti universitari ben istruiti e con elevata motivazione, cosa questa ben lontana dalla realtà della popolazione generale, dove si è ipotizzato un accumulo medio di placca residua dopo spazzolamento giornaliero di circa il 60%.
Questi dati devono pertanto spingere il clinico a raggiungere precisi obiettivi nell’ambito della propria terapia causale basati sulla qualità della pulizia dentale piuttosto che sulla frequenza di spazzolamento.
Non da ultimo è da ricordare che anche la metodica manuale dispazzolamento può presentare degli effetti indesiderati caratterizzati da veri e propri traumi a carico sia dei tessuti duri che molli. Tali lesioni da spazzolamento inappropriato si manifestano clinicamente mediante abrasioni cervicali dentali e recessioni gengivali (Fig. 3) ed i fattori determinanti risultano legati allo spessore (durezza) delle setole, all’impropria conformazione della loro punta e alla forza applicata, non ché al grado di abrasività delle paste dentifricie utilizzate.

Fig. 3

Lo spazzolamento dentale mediante strumenti elettrici fig. 4

Dal 1960, anno in cui fu introdotto in commercio il primo spazzolinoelettrico, l’industria dentale ha compiuto notevoli progressi realizzando modelli di spazzolini in grado di soddisfare sempre più i criteri di efficacia, praticità e ridotti effetti indesiderati. Poiché dai risultati dei primi studi si evidenziava un’efficacia sovrapponibile, intermini di rimozione di placca, tra lo spazzolino manuale e quello elettrico, l’indicazione all’uso di quest’ultimo era stato prevalentemente rivolto a soggetti affetti da inabilità parziale o totale all’uso dello spazzolino manuale. Gli spazzolini elettrici presenti oggi in commercio (Fig. 4) presentano testine a conformazione rettangolare o circolare, in grado di eseguire movimenti di tipo laterale (o avanti-indietro o side-to-side), rotatorio e rotario-oscillante, nonché a bassa ed alta frequenza. Studi clinici a breve termine hanno in particolare riportato come lo spazzolamento condotto con spazzolini elettrici a testina tonda e con movimento rotatorio-oscillante risulti essere più efficace nel rimuovere la placca e nel ridurre il sanguinamento rispetto a metodiche condotte con altri tipi di spazzolini elettrici o manuali.

In particolare, il risultato riportato più di frequente appare quello di un’aumentata rimozione di placca in prossimità degli spazi interdentali ottenuta mediante tale metodica.

E’ chiaro tuttavia che, al pari della metodica manuale, l’istruzione al corretto uso dei sistemi elettrici risulta di fondamentale importanza per la rimozione ottimale della placca batterica e soprattutto per ridurre la probabilità di insorgenza di fenomeni indesiderati conseguenti ad eventuali forze traumatiche di spazzolamento, quali abrasioni dentali e gengivali (recessioni gengivali).
Alcuni studi hanno inoltre investigato il rapporto tra la durata dello spazzolamento e l’efficacia della rimozione di placca. I risultati hanno mostrato come, a parità di tempo, lo spazzolamento mediante sistemi elettrici sia in grado di rimuovere più placca se paragonato allo spazzolamento manuale. Tuttavia tali risultati necessitano di ulteriori conferme.

La pulizia dentale interprossimale

Tutti i metodi di igiene orale domiciliare considerati che hanno come obbiettivo il controllo dell’accumulo di placca batterica si possono ricondurre essenzialmente allo spazzolamento ed alla pulizia interprossimale. Il fatto che la carie, le gengiviti e le parodontiti siano patologie che si sviluppano prevalentemente a livello interprossimale e che il maggior accumulo di placca si abbia a livello delle superfici approssimali vestibolari e palatali/linguali, indica che la rimozione della placca batterica da tali zone deve essere il principale obiettivo da raggiungere per qualsiasi programma di prevenzione e terapia. Quando allo spazzolamento si associa la pulizia interdentale è stata dimostrata una maggiore rimozione di placca batterica rispetto al solo spazzolamento, con una riduzione del sanguinamento gengivale del 67%, contro il 37% del solo spazzolamento.
Numerosi sono i metodi disponibili per la pulizia interdentale e quelli ad oggi più utilizzati sono:

Fig. 5 / Fig. 6 / Fig. 7 / Fig. 8

La scelta di un sistema piuttosto che un altro dovrà essere effettuata prendendo in considerazione la presenza di specifici fattori anatomici e individuali quali presenza/assenza di papilla gengivale, dimensione dello spazio interdentale, pregresse patologie/terapie parodontali, abilità manuale e grado di addestramento e motivazione. Sulla base di tali fattori sarà quindi possibile scegliere lo strumento e la metodica più appropriata ad ogni singolo caso, nell’intento di creare un armamentario personalizzato e soprattutto il più adeguato per un corretto controllo di placca batterica.
Sebbene la pulizia interprossimale mediante filo interdentale (Fig. 5, Fig. 6) richieda un maggior tempo di esecuzione, tale metodica non offre alcuna alternativa nei casi in cui lo spazio interdentale risulti essere completamente occupato dalla papilla gengivale. L’uso di un filo cerato o non cerato non risulta influire sull’efficacia e capacità di rimozione di placca dei due sistemi, così come l’uso di nastri comparato all’uso di fili cerati o non cerati non mostra differenze significative. Certamente superiore è la rimozione di placca del filo nei confronti degli stuzzicadenti, soprattutto sul versante linguale delle superfici approssimali; l’uso di quest’ultimi è indicato solo in presenza di uno spazio interprossimale sufficientemente ampio. L’uso di spazzolini (scovolini) interdentali (Fig.7) risulta indicato per spazi interdentali ampi, dove sono più efficaci del filo interdentale nel rimuovere la placca batterica. A tal riguardo è bene ricordare che le case produttrici hanno commercializzato scovolini con diverso diametro in modo da poter personalizzare ed adattare allo specifico spazio interdentale un appropriato scovolino. L’uso dello spazzolino monociuffo (Fig. 8) è stato proposto come sistema in grado di aumentare il controllo di placca in caso di denti ruotati, inclinati, ectopici ed affetti da recessioni gengivali. Infine gli irrigatori orali sono caratterizzati dall’esercitare un getto di acqua che può essere continuo o pulsante: i dati provenienti dalla letteratura indicano una loro scarsa efficacia nel controllo di placca quando vengono usati come coadiuvanti nelle procedure di igiene orale.

Risulta chiaro che, al fine di ottenere un corretto controllo di placca a livello interdentale, il singolo soggetto può utilizzare una combinazione di più strumenti tra quelli elencati e che, in aggiunta, tale armamentario possa variare nel corso della vita dello stesso individuo a seguito del manifestarsi di eventi in grado di determinare una variazione degli stessi spazi interdentali.

La terapia meccanica non chirurgica

La terapia meccanica include procedure per la rimozione di placca batterica e tartaro dalle superfici dentali sopragengivali (detartrasi sopragengivale) e sottogengivali (detartrasi e levigatura radicolare sottogengivale) e per rendere lisce le superfici dentali e radicolari. La detartrasi e levigatura radicolare sottogengivale può essere condotta a “cielo chiuso”, cioè senza scollamento volontario della gengiva, o a “cielo aperto”, cioè mediante il sollevamento di lembi chirurgici gengivali per migliorare l’accesso e la visibilità dell’operatore. La maggior parte dei protocolli di approccio alla fase causale suggeriscono l’utilizzo iniziale di procedure a cielo chiuso, lasciando l’eventuale uso di terapie a lembo ad una seconda fase terapeutica, la cui necessità viene individuata durante la rivalutazione che segue la fase di terapia causale. Queste procedure possono essere condotte mediante l’uso di strumenti differenti, quali strumenti manuali, strumenti meccanici (sonici ed ultrasonici), strumenti rotanti e strumenti a movimento alternato.
La detartrasi sopragengivale

La strategia di approccio più comune per la terapia di pazienti affetti da malattie parodontali, prevede inizialmente la rimozione dei depositi di tartaro sopragengivali e dei restauri debordanti, per facilitare la successiva levigatura radicolare. Alcuni protocolli proposti in letteratura prevedono invece la contestuale esecuzione della terapia sopragengivale e sottogengivale. La detartrasi può essere condotta efficacemente sia con strumenti manuali (scalers o curettes) (Fig. 9) che meccanici (strumenti sonici o ultrasonici) (Fig. 10).

Fig. 9  / Fig. 10

Possono a volte essere utili strumenti a movimento alternato o strumenti rotanti per l’eliminazione di margini debordanti. La detartrasi deve essere completata con la lucidatura delle superfici strumentate, per mezzo di spazzolini o coppette con pasta pomice e di strisce abrasive o fili interdentali.
La detartrasi può richiedere una o più sedute e deve essere accompagnata da adeguata istruzione e motivazione del paziente all’uso degli strumenti domiciliari per l’igiene orale.

La detartrasi e levigatura radicolare sottogengivale

Questa procedura, indicata per la terapia delle parodontiti, generalmente viene condotta con l’ausilio di anestesia locale. L’obiettivo primario è di asportare depositi duri e molli dalle superfici radicolari, lasciando superfici radicolari “pulite” e “lisce” per favorire la guarigione dei tessuti parodontali che normalmente risulta nella risoluzione o almeno nella riduzione dei processi infiammatori locali e nella conseguente riduzione della profondità della tasca parodontale. La detartrasi e levigatura radicolare viene pianificata in un numero variabile di sedute, che dipende fondamentalmente dalla gravità della parodontite e dall’esperienza dell’operatore. Sono spesso necessarie alcune ore di lavoro accurato (da 2 a 6 in media) per rimuovere gli agenti causali ed i fattori di ritenzione microbica. La strategia di approccio può essere differente. Esistono protocolli che prevedono una serie di brevi sedute successive, comunque ravvicinate fra loro (per esempio sedute di 1 ora con frequenza settimanale), o meno sedute più lunghe (sedute di 2 ore), fino a protocolli in cui la terapia sottogengivale viene conclusa in una o due sedute molto ravvicinate (per esempio in 2 giorni consecutivi). Non esistono studi definitivi che indichino una maggiore efficacia di uno di questi approcci, anche se la tendenza attuale è quella di compattare, per quanto possibile, la terapia causale in un minore numero di sedute ravvicinate fra loro. Questa tendenza deve essere confrontata con il comfort del paziente e con i possibili effetti collaterali derivanti da una strumentazione massiva delle tasche, soprattutto con la possibilità di indurre batteriemie transitorie.

Comparazione di strumenti manuali e meccanici

Alcuni studi comparativi hanno permesso di concludere che non sembra esserci differenza nell’efficacia della detartrasi sottogengivale con strumenti ultrasonici/sonici e strumenti manuali nel trattamento della parodontite cronica. La detartrasi sottogengivale effettuata con strumenti ultrasonici/sonici richiede meno tempo (circa il 30% in meno) rispetto alla strumentazione manuale. Non sembrano esserci differenze nella frequenza e nella severità degli effetti collaterali in seguito alle due modalità di trattamento, in termini di comfort del paziente e di alterazioni anatomiche delle superfici trattate.
La detartrasi e levigatura radicolare è una procedura complessa che richiede notevole perizia ed attenzione. La difficoltà aumenta nelle tasche più profonde, in presenza di denti con forcazioni coinvolte (ad es. molari) o con forme anatomiche complesse

(concavità, fessure, curvature delle superfici), di difetti ossei complessi e profondi, e nei settori posteriori della bocca. La strumentazione anche molto accurata può non condurre alla completa rimozione del tartaro sottogengivale, soprattutto nelle zone ad anatomia complessa. L’uso combinato di strumenti manuali con varie forme e dimensioni e di strumenti meccanici dotati di punte sottili e anche curve può in teoria aumentare la probabilità di successo pieno della strumentazione, anche se non esistono studi che lo dimostrino.
Esistono anche altri strumenti, meno utilizzati. Gli strumenti rotanti (punte diamantate a grana fine) possono essere utili per eliminare piccole irregolarità radicolari, favorire l’ingresso nelle forcazioni o in difetti molto stretti, ma devono essere utilizzati con molta cautela per evitare asportazioni eccessive di dentina e lesioni ai tessuti molli parodontali. Gli strumenti a movimento alternato e l’uso del laser non sono supportati da dati sufficienti nella letteratura scientifica.

Risultati della terapia causale meccanica

I risultati attesi dopo detartrasi sopragengivale e detartrasi e/o levigatura radicolare sottogengivale, in pazienti che adottano misure di igiene orale domiciliare appropriate sono (Fig 11 e Fig. 12).
1. riduzione dei segni clinici dell’infiammazione gengivale (rossore, gonfiore e segni associati);
2. marcata riduzione del numero dei siti che sanguinano,
3. riduzione della profondità di tasca con incremento della recessione gengivale e lieve guadagno di attacco tissutale. Tale effetto sarà più marcato nelle tasche più profonde; nei siti con profondità iniziale di 3mm o meno è possibile osservare lievi perdite di attacco clinico.

Fig. 11 / Fig. 12

Gli antisettici orali (collutori) nella prevenzione e nella terapia delle malattie parodontali

I farmaci utilizzati per il controllo chimico della placca sopragengivale possono essere suddivisi in: antibiotici, enzimi, antisettici bisguanidi, composti d’ammonio quaternario, fenoli e oli essenziali, prodotti naturali, fluoruri, sali metallici, agenti ossigenanti, detergenti, alcolamminici, altri antisettici.
Solo alcuni fra questi principi farmacologici risultano essere validati da studi clinici.

La clorexidina è di gran lunga l’antisettico più studiato e più efficace per l’inibizione della placca e per la prevenzione delle gengiviti. E’ stata introdotta in odontoiatria attraverso uno studio sperimentale di 21 giorni sulla gengivite dimostrando la capacità di controllare la formazione della placca e della gengivite in assenza di igiene orale. Questo studio dimostrò che uno sciacquo della durata di 60 secondi, due volte al giorno, con 10 ml di una soluzione di clorexidina digluconata allo 0,2%, in assenza di un normale lavaggio dentale, inibiva il riformarsi della placca e lo sviluppo delle gengiviti. Uno studio successivo della durata di due anni che prevedeva l’aggiunta della clorexidina alle normali pratiche di igiene orale ha dimostrato un significativo anche se modesto effetto sulla placca batterica e sulla gengivite. Lo studio ha verificato come non vi fosse lo sviluppo di microrganismi resistenti e ha quindi suggerito che la clorexidina è apparentemente sicura nell’uso a lungo termine. Questo studio ha anche identificato alcuni effetti collaterali che ne limitano l’utilizzo prolungato su una larga fascia di popolazione. Alcuni di questi effetti sono la pigmentazione scura dei denti e di eventuali manufatti protesici, l’aumento dell’accumulo di tartaro, l’alterazione temporanea della sensibilità del gusto e il sapore non gradevole del prodotto. Sono stati descritti casi occasionali di erosione delle mucose e raramente un rigonfiamento bilaterale delle parotidi che si sono risolti con la sospensione del farmaco.
La concentrazione inizialmente proposta era dello 0,2% per 10 ml., tuttavia è stato poi dimostrato che la concentrazione dello 0,12% per 15 ml ha una efficacia sovrapponibile ma con effetti collaterali ridotti. L’utilizzo di concentrazioni ulteriormente inferiori sembra non essere efficace.
Un gruppo molto modesto di lavori ha studiato l’attività della clorexidina nella terapia delle malattie parodontali, limitandosi maggiormente alle gengiviti. I risultati di questi lavori dimostrano una scarsa efficacia terapeutica della clorexidina in assenza di rimozione meccanica della placca batterica. E’ anche importante sottolineare che in presenza di malattia parodontale avanzata l’uso di clorexidina non è sufficiente a migliorare le condizioni parodontali se non associato alla strumentazione sottogengivale.

La clorexidina è anche disponibile in gel a differenti concentrazioni che variano dal 1% allo 0,2% e 0,12%: alcuni studi tuttavia rivelano che il gel può non raggiungere tutte le superfici del dente. Un mezzo di applicazione alternativo allo sciacquo può essere lo spray che permette di veicolare il composto direttamente sulle superfici dei denti rendendo efficace un dosaggio più basso di quello usato normalmente nei collutori. Questo utilizzo sembra particolarmente indicato in portatori di handicap fisici o mentali.
E’ importante sottolineare la possibilità di interazione e possibile inattivazione reciproca fra la clorexidina e dentifrici che contengono un comune composto detergente, il sodio lauril solfato. E’ anche descritta una azione antagonista con il monofluoro fosfato contenuto in alcuni collutori. Pertanto si consiglia l’utilizzo della clorexidina dopo un intervallo di 30 minuti dall’utilizzo di altri prodotti.

I fenoli e gli oli essenziali sono stati utilizzati per molto tempo come sciacqui del cavo orale. Uno dei principali prodotti è la Listerina, composta da oli essenziali, timolo ed eucaliptolo uniti a mentolo su base alcolica. Sebbene questo prodotto non sia efficace come la clorexidina, ha ottenuto in vari studi significative riduzioni del livello di placca e di gengivite. Inoltre è stato dimostrata una capacità anti-infiammatoria. Anche per questo composto sono stati riportati effetti collaterali quali la occasionale pigmentazione, sensazione temporanea di bruciore e un gusto amaro.

Il Triclosan è un derivato dei fenoli, da più di 25 anni presente come composto antibatterico nei cosmetici e solo recentemente utilizzato nella formulazione di collutori e dentifrici. Nonostante dimostri un’attività in vitro contro una ampia gamma di microrganismi, ha una moderata azione inibitoria sulla placca. La sua efficacia è migliorata attraverso l’aggiunta del citrato di zinco o di acido maleico che ne incrementano l’azione antimicrobica. Più spiccato del suo effetto antiplacca è la sua capacità di ridurre le gengiviti soprattutto quando l’igiene orale iniziale è scarsa e quando si lascia agire il composto per un tempo sufficientemente lungo (3-6 mesi), mostrando per questo una differenza rilevante rispetto alla clorexidina. Per effetto della sua liposolubilità e capacità di penetrare l’epitelio, il Triclosan ha anche manifestato una attività antinfiammatoria. L’utilizzo di questo agente non produce effetti collaterali di rilievo. I composti a base di Triclosan sembrano pertanto interessanti anche se la loro capacità di prevenire le gengiviti e le parodontiti deve essere ulteriormente investigata.

Fluoruri

La capacità di controllo della placca batterica è stata dimostrata per un prodotto che combina il fluoruro stannoso e l’amino-fluoruro stabilizzati all’interno di una soluzione acquosa. Brecx e coll. hanno studiato l’azione in vivo del composto di fluoruro amminico e fluoruro stannoso in comparazione con un controllo negativo o placebo e con la clorexidina. I risultati clinici, sebbene inferiori al controllo positivo (clorexidina), hanno dimostrato la capacità di questo composto di ridurre l’accumulo di placca, ritardare l’insorgenza della gengivite, esprimere un potere battericida. Gli effetti collaterali sono limitati ad una leggera pigmentazione determinata dal fluoruro stannoso, di facile rimozione.
I composti contenenti fluoruri apportano sulla superficie del dente ioni fluoro ottenendo un effetto positivo nel trattamento della ipersensibilità dentinale.

La terapia antimicrobica locale sottogengivale

I prodotti a rilascio locale, utilizzati nei lavori clinici considerati, sia in pazienti all’inizio del trattamento parodontale (terapia causale), che in terapia di mantenimento, sono stati impiegati come monoterapia o associati alla terapia meccanica sottogengivale.
I farmaci considerati sono stati i seguenti:

Il metronidazolo clinicamente non ha determinato differenze significative, tra il trattamento combinato (meccanico+farmaco) e la sola levigatura, nella riduzione della profondità delle tasche e del sanguinamento gengivale.
L’utilizzo dei chips di clorexidina in combinazione con levigature determina una maggiore riduzione della profondità della tasca e del sanguinamento rispetto alla terapia meccanica sottogengivale. Le differenze sono statisticamente significative ma clinicamente di modesto rilievo.
La doxiciclina, utilizzata come monoterapia, determina una riduzione del sanguinamento e della profondità di sondaggio simile a quella ottenuta con la terapia meccanica.
Le fibre di tetraciclina in associazione a levigature mostrano una maggiore riduzione della profondità della tasca e del sanguinamento rispetto alla sola terapia meccanica.

Le microsfere di minociclina, utilizzate come terapia aggiuntiva (levigatura+microsfere), determinano una riduzione della profondità della tasca maggiore rispetto alla sola terapia meccanica. La differenza, statisticamente significativa, è clinicamente poco rilevante.
I prodotti a rilascio locale considerati possono essere utilizzati (dal medico o dall’igienista) in associazione alla levigatura delle radici (effetto aggiuntivo) per il trattamento dei siti che non rispondono positivamente alla terapia meccanica, in pazienti già sotto controllo terapeutico (in terapia di mantenimento). E’ stato inoltre provato che i farmaci a rilascio locale non danno ulteriori vantaggi se utilizzati come monoterapia, rispetto alla terapia meccanica convenzionale che rimane allo stato attuale delle conoscenze la terapia di elezione. E’ importante comunque sottolineare che il controllo di placca sopragengivale, è essenziale per il raggiungimento di risultati clinici ottimali.

Il ruolo degli antibiotici sistemici nella terapia causale parodontale

Premesso che la terapia meccanica non chirurgica rappresenta il trattamento di base delle parodontiti e che, se associata ad una efficace terapia di supporto, costituisce l’unica terapia per la maggioranza dei pazienti, la decisione (da parte del medico) di inserire all’interno del protocollo terapeutico la terapia antibiotica sistemica deve basarsi su una adeguata conoscenza scientifica e su una scrupolosa valutazione clinica. Dai dati disponibili in letteratura emergono solamente delle indicazioni di carattere generale relative all’utilizzo della terapia antimicrobica aggiuntiva.
I risultati delle poche meta-analisi realizzate forniscono differenze statisticamente significative, ma di scarso significato clinico. Nonostante la scarsa quantità di evidenza scientifica, la letteratura parodontale e la sensibilità clinica suggeriscono l’utilizzo aggiuntivo della terapia antibiotica sistemica in alcune forme di parodontiti ad insorgenza precoce, soprattutto se associate alla presenza di specifici batteri (Actinobacillus actinomicetemcomitans) e nelle parodontiti refrattarie al trattamento meccanico. Inoltre è indicata negli ascessi parodontali e nelle gengiviti e parodontiti necrotizzanti soprattutto in presenza di compromissione sistemica del paziente.
Risulta evidente la necessità per il futuro di realizzare ulteriori studi clinici, in modo da ottenere risultati effettivamente confrontabili tra loro. La continua emergenza di specie batteriche antibiotico-resistenti rende necessaria una limitazione all’uso empirico degli antibiotici anche in terapia parodontale. L’utilizzo di tecniche di diagnostica microbiologica e di test di sensibilità, quando possibile, è fortemente raccomandato.

Intarsio in composito

In campo conservativo tra le tecniche per il ripristino dell’anatomia dentaria e della funzione masticatoria, vi è la realizzazione di un tipo di ricostruzione chiamata INTARSIO. Esso è indicato nel caso in cui ci fosse una grossa otturazione da dover sostituire e la semplice otturazione risulterebbe insufficiente a proteggere il dente. D’altro canto la preparazione per una corora o capsula in ceramica sarebbe molto più distruttiva ed economicamente più costosa, quindi meno vantaggiosa. Gli Intarsi sono dei manufatti protesici in composito o ceramica che vengono realizzati in laboratorio, dietro prescrizione medica, e cementati in studio. Occorrono due sedute: la prima di pulizia, asportazione della vecchia otturazione e/o eventuale processo carioso e presa di impronta; la seconda cementazione del manufatto mediante tecnica adesiva. Tutto eseguito rigorosamente sotto diga di gomma.

Vantaggi:

1. Minima preparazione, massima conservazione del dente.
2. Protezione dalla frattura delle pareti del dente
3. Possibilità di mantenere vitalità del dente.
4. Altissima resa estetica e qualità del sigillo.
5. Possibilità di reintervento direttamente in bocca, senza dover rifare il manufatto pretesico.
6. Lunga durata nel tempo.
7. Costi inferiori rispetto ad una capsula o corona in ceramica.

Svantaggi nessuno

Uso del microscopio in endodonzia

L’introduzione del microscopio in odontoiatria ha permesso di risolvere alcune problematiche endodontiche che altrimenti sarebbero state più difficilmente risolvibili o la cui risoluzione sarebbe stata più rischiosa per la radice.
Il microscopio permette , grazie alla coincidenza del fascio di luce illuminante con quella dell’asse visivo, di vedere immagini in un canale stretto e lungo (come è il canale di un dente). Attualmente, l’unico strumento che consente di mettere in asse il sistema illuminante con quello ingrandente, è rappresentato appunto dallo stereomicroscopio operativo.
I casi in cui il microscopio risulta più utile sono l’estrazione dalla radice di strumenti endocanalari rotti o la rimozione di perni in fibra di vetro o di carbonio.

Strumenti rotti
Può succedere durante la strumentazione del canale radicolare che uno strumento manuale o ruotante si fratturi, come si vede nella foto 1 (la freccia indica lo strumento rotto).

Prima dell’introduzione della microscopia in odontoiatria si sarebbe tentato di risolvere un caso del genere cercando di creare, con degli strumenti endodontici molto fini, un passaggio lateralmente alla lima fratturata, operazione molto lunga e non sempre coronata dal successo.
Ora utilizzando una punta a ultrasuoni molto sottile la si fa ruotare attorno allo strumento rotto, ben visibile con il microscopio. Questa azione degli ultrasuoni crea un solco attorno all’ostruzione, porta via i detriti dentinali ed espone alcuni millimetri più coronali dell’ostruzione. Normalmente, durante l’uso degli ultrasuoni l’ostacolo comincia ad allentarsi, a svitarsi e a ruotare su se stesso. Incuneando delicatamente la punta lavorante tra il frammento conico della lima e le pareti del canale, spesso improvvisamente lo strumento “salta fuori” dal canale (foto 2).
Una volta tolta l’ostruzione si può finire con successo la terapia canalare (foto 3).

Può capitare che si fratturi un lentulo durante l’introduzione di un cemento all’interno del canale (foto 4).

Anche in questo caso la rimozione si effettua con le stesse modalità viste prima. Una volta tolto il lentulo (foto 5) si finisce il ritrattamento (foto 6).

Perni in fibra

Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento dell’utilizzo di perni in fibra di carbonio e fibra di vetro per la ricostruzione post-endodontica dei denti devitalizzati. Infatti questi nuovi perni offrono un modulo di elasticità più simile a quello del tessuto dentinale rispetto ai tradizionali perni in oro o in lega.
I perni endodontici in fibra di carbonio sono costituiti da una matrice resinosa, che rappresenta circa il 36% in peso, in cui sono immerse fibre di diametro pari a pochi microns che sono state preventivamente sottoposte a procedimenti di silanizzazione. Le procedure applicate per la realizzazione dei perni in fibra sono essenzialmente due: a) creando degli appositi stampi nei quali la resina epossidica viene introdotta sottopressione andando a colmare tutti gli spazi presenti fra le fibre pre-tensionate ed omogeneamente distribuite; b) le fibre vengono direttamente immerse all’interno della resina.
Questi perni vengono cementati all’interno dei canali con dei cementi resinosi.

Quando ci si trova nella necessità di dover togliere il perno per ritrattare il dente, si deve consumare il perno fino alla sua completa eliminazione.
Anche in questo caso l’utilizzo del microscopio e di frese a ultrasuoni ci permette la rimozione del perno senza incorrere nel rischio di perforare la radice, inconveniente in cui si potrebbe incappare con altre tecniche. Il microscopio ci permette di vedere all’interno del canale in modo da applicare la punta a ultrasuoni solo sul perno da consumare e non sulle pareti della radice.